Catasta di libri in biblioteca: infermiera, psicoterapeuta e informatico

L’infermiera, la psicoterapeuta e l’informatico

Sembra l’incipit di una barzelletta, e invece non lo è!

Qualche giorno fa ero a donare il sangue, nella stanza del prelievo, semi-sdraiato sul mio lettino con il mio immancabile mattone letterario tra le mani (stavolta è la volta de “I miserabili” di Hugo).

Sul lettino alla mia destra una signora distinta, molto concentrata su un punto nel vuoto mentre il macchinario della donazione fa il suo lavoro di aspirazione.

Nella stanza gironzola – sempre molto indaffarata – la solita simpatica ed infaticabile infermiera ricciola, di cui mi rendo conto di ignorare ancora il nome.

Il tutto in un silenzio surreale, ognuno di noi nascosto dietro la propria mascherina, tanto che il bip bip dei macchinari che sono in funzione sembrano quasi assordanti.

Ad un tratto non ce la faccio più: rompo io il silenzio, una condizione che evidentemente non riesco bene a sopportare, ed esordisco rivolgendomi all’infermiera: “sa che alla fine ho iniziato a leggere Vargas!” [alla donazione precedente ci eravamo scambiati qualche fugace consiglio di lettura, quando io ero alle prese con Eco e il suo famoso cimitero].

Lei si volta, mi fissa un attimo e poi ricollega istantaneamente tutti i pezzi. Da qui iniziamo a chiacchierare un po’ sui personaggi, le trame, le ambientazioni… insomma: si ricrea subito un ambiente più rilassato, quasi come se il COVID non fosse mai esistito.

La cosa che più di tutte mi ha colpito quella mattina (e per cui ho voluto trascrivere qui questo pensiero) è stato l’ingresso spontaneo nella discussione della signora alla mia destra.

L’infermiera ricciola aveva appena ribadito la sua massima personale “ci sono troppi libri al mondo, perché mi fissi a finire di leggerne uno che non mi prende granché” (una massima che sposo anche io… i mattonazzi infatti me li porto sempre dietro in situazioni in cui gioco forza non ho altro da fare che leggerli…) quando dalla mia destra si sente un perentorio “Daniel Pennac, nel suo decalogo dei diritti del lettore, rivendica infatti il diritto di non finire un libro“.*

Fantastico! 

Nel giro di pochissimi secondi siamo passati da un impacciato silenzio quasi inquietante ad un gioviale e disteso dibattito a tre sulla lettura.

Nel giro di poco tempo la mia donazione si è conclusa, e per la prima volta nella mia vita di socio Avis ho sperato che quella sacchetta continuasse a dondolare per qualche minuto in più, prolungando questo momento magico.

Io e la signora ci siamo poi ritrovati e abbiamo continuato a chiacchierare nella sala ristoro (lei con un modesto pacchettino di biscotti modo-dose, io con il mio solito panino formaggio e salame alle 10 del mattino…); ho scoperto essere lei una psicoterapeuta e ho ammesso essere io un informatico.

Sommati all’infermiera direi che abbiamo prodotto proprio un bel trio!

Qualcuno in TV ha detto che in questo periodo buio la cultura è più che mai importante. Io ci credo fermamente, e cerco nel mio piccolo di alimentare questo volano culturale (pur restando una volgare figura tecnica-informatica).

Spero vivamente che episodi di questo tipo continuino a succedere, e che questo brutto virus non ci tolga anche la voglia di condividere le nostre opinioni e di creare cultura anche fuori dai contesti più ufficiali e pomposi.

La mascherina – grande baluardo a difesa della nostra incolumità – quella mattina ci ha in fondo soltanto impedito di conoscere per intero i nostri volti; ma ci siamo accontentati degli occhi, della voce e del pensiero.

Continuiamo ad indossarla, sempre.


*Per i più curiosi: il decalogo a cui faceva riferimento la signora psicoterapeuta è contenuto nel libro “Come un romanzo” scritto negli anni ’90 dello scrittore francese Daniel Pennac.

Se non volete leggervi tutto il libro (visto il diritto che Pennac stesso sancisce) potete come me leggere il decalogo su internet, ad esempio a questo link.

 

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